ALESSANDRO FULCHERIS: BREVE STORIA DI UN POPOLO DI LOBOTOMIZZATI
- Scritto da Luca Gironi
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Stamani eravamo a caccia, col mio amico Antonio. Una splendida giornata con un bel sole che sembra ancora agosto, una giornata come tante passate insieme come fin da ragazzi. Antonio non era cacciatore, ma gli bastò venire una mattina per rimanere folgorato e correre a dare l’esame della licenza e da quel giorno anche dentro di lui arde quel “fuoco sacro” che è insito nell’uomo dalla notte dei tempi, fin da quando il primo essere umano ha calcato il suolo terrestre.
Passa un gruppo di persone in visita ad un vicino bosco. Ci sono bambini e genitori ed una signora vestita di bianco che sta facendo da Cicerone: si atteggia da guida turistica, e forse lo è davvero, ma non è in divisa. Due bambini si accorgono di me, e con curiosità ma mi è sembrato anche un certo entusiasmo, dicono agli altri del gruppo che lì vicino c’è uno col fucile, e c’è anche un cagnolino (la mia breton) e si azzardano a salutarmi con la manina. Sento chiaramente la “capo comitiva” che consiglia di non avvicinarsi, e di non salutare; e siccome siamo vicini vedo chiaramente un’espressione delusa nei bambini. Mi sento un appestato, una persona da scansare, come se fossi un delinquente. La cosa mi disturba ma mantengo il mio normale atteggiamento e mi avvicino ai bambini sorridendo, prendo la canina che è un po’ timorosa di chi non conosce, mi inginocchio e gliela faccio accarezzare. L’avessi mai fatto! Quella che sembra una guida richiama immediatamente i bambini, nel silenzio degli stessi genitori che non hanno profferito parola e porta tutti via con autorità. La stessa cosa che farei io con i miei figli di fronte ad una manifestazione di Black Block in assetto di guerra contro le forze dell’Ordine, la stessa cosa che farei io con i miei figli trovandomi nel bel mezzo di una grave situazione di pericolo.
Cerco di parlare, chiedo quale è il problema, spiego che sono in perfetta regola, che l’appostamento è regolarmente pagato, così come la mia licenza di caccia ma, con fare perentorio la signora porta via tutti. Torno dal mio amico che sta raccogliendo i pochi bossoli sparati, scherzo sull’accaduto ma mi si rivoltano le viscere dalla rabbia. Avrei voluto fermarli tutti, avrei voluto dire che quell’atteggiamento così marcatamente ostile non aveva senso, avrei voluto sottolineare che il cacciatore munito di regolare porto d’armi uso caccia è per forza una persona specchiata, che è una persona che per forza deve avere tutte le facoltà psicomotorie a posto, che deve avere una fedina penale immacolata. Che non può avere atteggiamenti violenti di nessun tipo, che non può alzare un dito verso nessuno, quasi nemmeno per difendersi: basta una semplice querela e si perde immediatamente il Porto d’Armi. Proprio per questo avrei voluto dire che se fra una moltitudine di persone si vede qualche individuo vestito con gli abiti da caccia si può essere ben sicuri che quelle sono persone per bene. Avrei voluto dire tante cose, soprattutto a quei bambini, ancora non lobotomizzati da un bombardamento mediatico ostile alla caccia senza precedenti nella storia e che, tra l’altro, assolutamente non riscontrabile in altro paese al mondo. “Andiamo via che è meglio, non ti ci confondere, non ci pensare più” dice Antonio, al secolo “Beppone”. E ci avviamo verso casa ma non digerisco quello sguardo di disprezzo della guida turistica. Disprezzo verso di me, che campo la famiglia col sudore della fronte, che pago le tasse, che cerco di vivere nella più totale onestà. Disprezzo verso di me che mi arrabatto a cercare di essere un cittadino modello. Ribollo di rabbia pensando alla sguardo deluso di quei bambini, richiamati ad un assoluto ed insindacabile “dovere” animalista. Sono orgoglioso di non far parte dei lobotomizzati.
Alessandro Fulcheris